In questa epoca di drammi e pandemie, guerre e fame di salvezza, c’è un gran bisogno di Bontà, vocabolo breve, apparentemente semplice, rapido da pronunciare difficile da tradurre in fatti.
Una decina di anni fa un gruppo di persone che conosceva il dolore e sapeva guardarlo in faccia e sfidarlo, pensò di chiamare così un’associazione, divenuta Fondazione e cresciuta tra iniziative e missioni sociali.
Prima tra tutte, instillare nell’immaginario varesino la cultura della donazione. Quella privata, che in passato ha contribuito a costruire l’ospedale e che in futuro potrà fare la differenza, in positivo, dando colore, spessore, sostanza e supporto a una sanità che non può permettersi di dipendere unicamente dalle casse pubbliche.
I risultati di quest’azione benefica hanno già cominciato a ricadere sul Circolo. Sotto forma di accessori per le stanze dei pazienti, di sostegno al nobile progetto DAMA, di preziosi versamenti all’apice della pandemia, di un pianoforte nella hall del monoblocco (cui si aggiunge un secondo strumento, destinato al day center del Ponte).
E poi di apparecchiature moderne, di variopinti murales, di accompagnamenti, raccolte fondi, mani tese, di presenza, di testimonianza e cooperazione.
Insomma, questi 10 anni di Bontà pesano, contano, si sentono. Perché hanno ben seminato.