Busto: Quei ragazzi alla mercé dei social-predatori

Il caso della 14enne violentata a Busto Arsizio sveglia più di una riflessione su una generazione indifesa

La terribile violenza di Busto Arsizio, così come ricostruita finora, riafferma l’esigenza di guardare alla sicurezza come a un mosaico dai tanti tasselli.
Spesso se ne invoca uno soltanto, legato a controlli, presenza delle forze dell’ordine, videosorveglianza e inasprimento delle pene. Tutto necessario, ma non sufficiente.
Perché in questo, come in altri casi, l’aggressore si celava dietro a schermi, display e tastiere. Lui 21enne, lei 14enne.
Chissà cosa pensava di trovare la ragazza, di origini peruviane, in quel giovane più grande, nordafricano residente nel milanese, incrociato sui social e quindi mai davvero conosciuto.
Ciononostante, lei accetta di incontrarlo e far due passi con lui. Dopodiché, lui la trascina in un’area dismessa. E poi gli abusi e le botte, le urla, l’intervento della Polizia Locale, l’arresto e i 50 giorni di prognosi.
Ora è sicuramente presto per pretendere molte risposte, ma non lo è per formulare domande: come si è passati dal dialogo online a quell’incontro? Possibile che nessuno si sia messo tra quella ragazza e quell’appuntamento al buio?
Dove sono finiti i “filtri umani”, gli ostacoli emotivi, affettivi, empatici che devono frapporsi e neutralizzare un possibile pericolo? Chi e cosa ha lasciato una ragazza, poco più che bambina, sola in mezzo ai lupi?