Lo hanno definito un Papa mediatico. Sintesi nello stesso tempo opportuna e limitante, efficace ma parziale.
Il pontificato di Francesco seguiva quello di Benedetto XVI: studioso introverso eppure visionario, che nella sua critica al relativismo galoppante profetizzava tanto del nostro presente e che nel suo richiamo alla messa in latino rispondeva alla desertificazione di chiese e sacerdozi e alla globalizzazione delle fedi teorizzando un Credo profondo, totalizzante, refrattario ai compromessi.
La svolta impressa nel 2013 è politicamente drastica. Bergoglio apre a tutti, rivoluziona il linguaggio, inaugura una narrazione martellante, che insiste sull'arrivo al Soglio di una personalità diametralmente opposta alla precedente, mentre, sul fronte divulgativo, gioca in sottrazione: si presenta da subito affabile, loquace, sorridente.
Rilascia interviste in prima serata e si concede alcune "umanissime" gaffe, complici i trabocchetti della lingua e qualche scatto di nervosismo.
Accusato da una parte della chiesa di eccessivo progressismo, Francesco ha costretto i fedeli a confrontarsi coi temi del momento: sessualità, famiglia, migrazione, guerra, abusi e pedofilia, povertà, ambiente.
Solo la Storia ci dirà se il suo pontificato sia stato davvero quello di un "riformatore inclusivo", o se il suo incedere poco tradizionalista abbia indebolito la dottrina senza completarne il rinnovamento.
Ma una cosa è certa: Papa Francesco ha collezionato più sostenitori che detrattori, più vicinanza che ostilità.
Ed è significativo che la sua uscita più recente sia stata al carcere di Regina Coeli: segno di un uomo che, un attimo prima di tornare dal Padre, sceglie di stare con gli ultimi.