Pochi minuti prima dell'attacco che, ieri in tarda sera, ha fermato il suo cuore per sempre, Maniglio Botti aveva dedicato un post di facebook al musicista Gianni Sanjust, recentemente scomparso. Poche parole di addio a un virtuoso del clarinetto conosciuto da appassionati e cultori.
In quelle righe, condivise coi tanti contatti social che ogni giorno, da anni, interloquivano, scherzavano e bisticciavano con lui, c'è molto della personalità di questo giornalista d'altri tempi, dotato di notevole fiuto, agile penna e ammirevole senso dell'umorismo. In quelle poche frasi ritroviamo il gusto per l'aneddoto, la passione per l'arte, il candore dell'omaggio a chi non c'è più, ma che è destinato a lasciare traccia di sé grazie al proprio talento.
Destino che, da qualche ora, accomuna quel musicista al nostro Maniglio, il cui ricordo ci accompagnerà lungo il nostro cammino. "Era il principe dei narratori", afferma un commosso Gianni Spartà, descrivendo il collega Botti come l'unica firma di Prealpina capace di dare spessore emotivo a qualunque vicenda, complice l'invidiabile abilità nel mescolare fatti e retroscena, dinamiche e sentimento, storia e poesia.
Era un uomo colto Maniglio: un professionista gentile, genuino, acuto, sagace e, all'occorrenza, tagliente. Ma mai aggressivo: pronto a difendere le proprie convinzioni con la forza della penna (e della tastiera) lavorando di cesello, battuta pronta e spalle irrobustite dalle tonnellate di letture, di film, di opere che, negli anni, ne avevano cementato l'autorevolezza.
Ultimamente, amavamo sfidarci a colpi di citazioni filmiche e di confronti registici. Adorava Fellini, maestro impareggiabile con il quale lo accomunavano l'amore per Rimini e la capacità di mantenersi in perenne equilibrio tra profondità e leggerezza.
Matteo Inzaghi