Dolore e congetture. Sono gli ingredienti di queste ore, così dense di sofferenza, così povere di risposte.
Di fronte ad atti mostruosi come quello del papà che, a Mesenzana, ha ucciso i propri figli per poi suicidarsi (per rivedere la cronaca dei fatti, clicca qui), una parte di noi cerca rifugio nel silenzio e nel desiderio di rimozione.
Altri si aggrappano al bisogno di una spiegazione, come se l’atrocità avesse sempre una chiave, nascosta chissà dove.
E’ una specie di riflesso condizionato: abbiamo bisogno di esorcizzare il Male Assoluto tentando di attribuirne la furia a un’origine definita, a un incidente di percorso, a una causa oggettiva, o alla responsabilità di qualcuno da incolpare.
Lo facciamo per cacciare i fantasmi, per dire a noi stessi che una cosa tanto brutta e tanto cattiva non potrebbe mai succederci.
Eppure, di fronte ai fatti di Mesenzana, alle dichiarazioni degli inquirenti, ai racconti dei vicini, l’unica risposta che davvero prende forma è quella dell’incertezza, della svolta improvvisa, di un orrore nato e cresciuto nel cuore inaridito e nella testa spenta di un essere umano, che ha provocato la morte di due innocenti al fine di strappare per sempre il calore della vita dal cuore di una mamma.
E allora, ci si chiederà, noi cosa possiamo fare? Per quei due piccoli, niente. Per quella donna, ben poco. Per noi stessi, qualcosa in più. Ad esempio, dare valore, spazio e centralità alla gentilezza: ai gesti semplici, alle carezze, ai sorrisi, alle parole che accolgono anziché respingere, che difendono anziché offendere. Non sconfiggerà il Male. Ma gli renderà un po’ più difficile esplodere, prevalere e vincere.