Testare, tracciare, trattare. Sono le tre T della ripartenza economica, dopo due mesi di emergenza e alla vigilia di una Fase Due che, secondo Mauro Colombo, "rischia di gravare interamente sulle spalle delle imprese".
L'assunto del Direttore di Confartigianato, è chiaro e netto: "Prolungare le chiusure significherebbe condannare a morte le piccole e medie realtà , quindi è fondamentale riaprire. Ma come?"
L'impressione del leader tecnico dell'associazione è che le responsabilità siano completamente a carico delle aziende. Il riferimento è alla mancanza di strumenti, a partire dai tanto sospirati tamponi.
"Per ricominciare le nostre attività in sicurezza - chiarisce Colombo - dobbiamo poter accogliere in tutta sicurezza i nostri collaboratori: ma quali sono i margini di certezza cui possiamo affidarci? Le autorità ci chiedono di provvedere alla predisposizione dei Dispositivi di Sicurezza, alla misurazione della temperatura, al mantenimento delle distanze minime. E noi, naturalmente, rispetteremo le regole. Ma tutto questo non basta. L'unico modo per assicurare la "negatività", quindi la non contagiosità, dei lavoratori, è legato ai test immunologici e ai tamponi". Anche perché, domanda il segretario generale, "Un collaboratore passa 1/3 della sua vita in azienda. Vogliamo chiedere al datore di lavoro di essere responsabile anche degli altri 2/3?"
Da qui l'appello di Confartigianato a Regione Lombardia, affinché si attrezzi (per altro, tardivamente) per fornire un'adeguata quantità giornaliera di tamponi.
In palio, chiosa Colombo, c'è la sopravvivenza del sistema economico, messo a repentaglio, prima ancora che dal Covid, da alcune indicazioni diffuse in questi giorni. Basti citare il lockdown chirurgico, che prevede la chiusura totale delle attività nel caso in cui si registrino dei contagi in azienda e la responsabilità penale degli imprenditori, evocata da quei sindacati che intendono associare automaticamente i casi di coronavirus agli infortuni sul lavoro.